Nel lontano 2013 usciva nelle sale “Her”, film diretto da Spike Jonze, candidato a 5 premi Oscar e vincitore di uno dei premi più importanti, ovvero la statuetta per la miglior sceneggiatura.

Il film è ambientato a Los Angeles, in un futuro non troppo lontano dal nostro in cui la tecnologia è parte inscindibile della quotidianità. Il protagonista di questo meraviglioso capolavoro è Theodore, interpretato da Joaquin Phoenix, un uomo apparentemente solo, in procinto di divorziare dalla sua compagna di vita, Catherine (il loro rapporto è imploso a causa della sua mancata capacità di affrontare i cambiamenti e affrontare le imperfezioni della partner). Theodore non riesce al tempo stesso ad accettare né il suo destino né il fatto che l’amore perfetto e puro delle fiabe, che aveva sempre desiderato, non esista.
Ma improvvisamente, sembra arrivare la soluzione ai suoi problemi, Samantha.  Il protagonista, colpito da una pubblicità, decide di acquistare un nuovo sistema operativo, un’intelligenza artificiale in grado di adattarsi alle sue esigenze ma soprattutto in grado di comprendere e provare emozioni. L’ invisibile Samantha, diventa così per Theodore, l’unica voce in grado di accogliere le sue emozioni.

Il rapporto tra i due diventerà sempre più passionale, emotivo, profondo e al tempo stesso intimo, fino a sfociare in una relazione di vero amore.
Spike Jonze sottolinea il contrasto fra il bisogno umano di intimità e la vastità dell’universo che circonda le persone (ho trovato molto simpatico il sarcasmo nel criticare le relazioni dei giorni nostri). Theodore, scottato da un matrimonio fallito, si rifugia in un mondo dove la voce diventa comando della sua vita, vivendo così, in una società in cui i sentimenti sono desiderati ma tenuti distanti perché non ci si sente in grado di sostenere le emozioni reali. Siamo più bravi a nasconderci dietro ad uno schermo, perché fa meno paura sostenere lo sguardo di chi abbiamo di fronte.

Ma alla fine il protagonista verrà lasciato solo e capirà di aver superato i confini dell’irreale, così da farlo avvicinare alla sua amica, Amy, anch’essa abbandonata dal suo sistema operativo. I due si ritroveranno così vicini eppure così lontani da non riuscire a vedere la possibilità di un amore tra loro, coperta dalla superficialità delle cose futili.  

Durante la visione del film, non ho fatto altro che riflettere su tutto ciò che mi circonda, interrogandomi con dispiacere di come, un film uscito nel 2013, dove le tecnologie, non erano così all’avanguardia, sia riuscito ad anticipare il decennio successivo.

Le persone hanno la capacità di fidarsi di qualcuno che non sono in grado di vedere, perché oggettivamente più facile, ma in primis il nostro Theodor sarà vittima del suo stesso sistema operativo, capace di amare non solo lui. Mi rammarica il dover realizzare di non essere più abituati ad amare, abituati a notare ed apprezzare i piccoli gesti. Ormai rischiamo di essere circondati da intelligenza artificiale e ci è difficile distinguere il reale dall’irreale.

Ma perché? Perché siamo alla ricerca di amici, dottori, amori, artificiali pronti a sostituirci? Forse è meglio affidarsi ad una voce? A un robot? Forse saranno in grado di capirci meglio? Forse la gente non soffrirà più? Sono queste le domande che mi sono posta in questi giorni sentendo le varie notizie in televisione.

Perché siamo ossessionati dal cercare la perfezione nelle tecnologie? Forse perché siamo alla ricerca dell’essere perfetto, in grado di saper fare tutto, in grado di saper rispondere a tutte le nostre domande, in grado di amarci, di compatirci, di curarci, siamo in cerca di questo tanto da adattarci passivamente a qualsiasi realtà scomoda tanto da imparare a vivere con il fastidio ed accettarlo con rassegnazione fino a non sentirlo più. Siamo sommersi da macigni che gravano sul nostro mondo, eppure sono visibili o invisibili, a seconda delle nostre priorità. 

Consiglio con piacere la visione di questo film, un film che ha come obiettivo l’intenzione di sollevare un polverone di domande, più che offrire delle risposte. Con l’intento di far capire che la solitudine, non è poi così male, basta vedere l’altra parte della medaglia, e fare la scelta giusta. 

Rachele Cucchiara III E

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