Il dramma della ricerca non riconosciuta
“Gli impedimenti della verità si confondono e si convertono in penitenza”, scrisse Leonardo. Ma quale verità ha inseguito il dottore Semmelweis?
È una verità che incrimina e accusa la scienza di oscurantismo, che mostra attraverso la disperata ricerca la tendenza dell’uomo verso il male e la diffidenza nei confronti dello sperimentalismo.
La storia dolorosa del medico ungherese Semmelweis inizia quando, dopo aver concluso i suoi studi di medicina tra Pest e Vienna, il dottore fu tirocinante sia nella clinica ostetrica che in quella chirurgica dell’Ospedale Generale di Vienna, riuscendo a conseguire entrambe le specializzazioni alla fine del 1845. In questa clinica ostetrica vennero costituiti due padiglioni: il padiglione I e il padiglione II. Semmelweis notò che nel primo padiglione, dove egli stesso lavora, veniva registrato un notevole incremento di decessi per febbre puerperale rispetto al secondo, dove i casi di mortalità erano minori. La febbre puerperale, caratterizzata da febbre, polso frequente, utero poco involuto, causò la morte di molte giovani partorienti e talvolta anche dei neonati. Semmelweis cercò in tutti i modi di comprendere cosa potesse determinare la differenza tra i due reparti, attraverso un’indagine scientifica che verrà presa a modello, nel secolo successivo, da grandi epistemologi come Popper e Hempel.
ANNO | % decessi per febbre perpuerale Reparto 1 | % decessi per febbre perpuerale Reparto 2 |
1844 | 8.2 | 2.3 |
1845 | 6.8 | 2.0 |
1846 | 11.4 | 2.7 |
1847 | 5.0 | 2.2 |
1848 | 1.27 | 1.33 |
Per prima cosa, il dottor Semmelweis pensò che le infezioni si verificassero in quelle donne che, non riuscendo a raggiungere in tempo l’ospedale, partorivano lungo la strada (Ipotesi delle nascite “stradali”). La causa della febbre puerperale, secondo questa prima ipotesi, sarebbero le condizioni igieniche durante il parto. Tuttavia, il dottore notò subito che l’ipotesi non stava in piedi. L’attenta analisi dei dati dimostrava l’esatto contrario: nelle donne che partorivano per strada l’incidenza della febbre era quasi nulla. L’origine della malattia doveva essere ricercata dentro l’ospedale.
Scartata la prima ipotesi, Semmelweis iniziò a pensare che le morti premature fossero causate dal sovraffollamento del reparto I. Anche questa ipotesi venne velocemente scartata in quanto i due reparti risultavano entrambi affollati, (in certi momenti, il Reparto II accoglieva un maggior numero di partorienti poiché, proprio per evitare il famigerato Reparto I, non mancavano le raccomandazioni).
Respinta anche quest’idea, e tutte quelle che si fondavano su qualche differenza di trattamento alimentare o igienico tra i due reparti, il medico ungherese incentrò l’attenzione sulle attività di tirocinio degli studenti di medicina che si svolgevano esclusivamente nel Reparto I, ed ipotizzò che, in quanto inesperti e maldestri, i laureandi potessero provocare delle lesioni con conseguenti infezioni alle donne durante le visite. Successivamente appurò che i tirocinanti svolgessero esattamente lo stesso compito delle levatrici che operavano nel Reparto II, pertanto era da escludere anche l’ipotesi dell’inesperienza; nonostante ciò, per non lasciare nulla di intentato, suggerì la sospensione dei tirocini.
Il fallimento dei tentativi provati fino a quel momento e l’altissimo numero di morti spinsero il dottor Semmelweis a vagliare tutte le ipotesi, anche quelle più paradossali. “Come un uomo che, stando per annegare, si aggrappa ad ogni fuscello”, il medico ungherese avanzò ed escluse l’ipotesi della “giacenza sul dorso” (le donne del reparto I venivano fatte giacere sul dorso, mentre quelle del reparto II su un fianco) e la surreale ipotesi dello stress causato, nelle donne del Reparto I, dal suono della campanella del prete che percorreva il reparto per somministrare l’estrema unzione.
Come spesso accade nella ricerca scientifica, un avvenimento casuale rivelò al dottor Semmelweis la chiave per risolvere l’enigma. All’inizio del 1847, tre anni dopo l’inizio delle indagini, un collega dell’ospedale, il dottor Kolletschka, che era solito fare con gli studenti esercitazioni anatomiche su cadaveri, ebbe un incidente sul lavoro. Durante una di queste esercitazioni, uno studente lo ferì accidentalmente, procurandogli un taglio alla mano. In seguito a questo incidente il dottor Kolletschka manifestò una serie di sintomi molto simili a quelli della febbre puerperale, che lo portarono alla morte. Semmelweis colse subito l’analogia e capì che la genesi della malattia del professor Kolletschka, di cui era nota la causa, ovvero le “particelle di cadavere” deposte sul bisturi, fu la stessa che provocò la morte delle giovani donne.
Dopo le autopsie, i medici erano soliti andare direttamente in corsia, dopo aver lavato le mani soltanto superficialmente (come erano uso fino a quel momento). Fu qui che il dottore cercò di rimediare, chiedendo agli studenti e al personale di lavare bene le mani con una particolare sostanza, l’ipoclorito di calcio, prima di accedere alla sala parto. La mortalità, nel 1848, scese notevolmente, a contro prova che l’ipotesi del dottor Semmelweis fosse corretta. Tuttavia, clamorosamente, nessun collega credette a tutto ciò, continuando a ricondurre queste morti alle cause tradizionali.
Nonostante l’indifferenza, il medico ungherese continuò le sue indagini, fino a quando, per invidie interne all’ospedale, venne allontanato da Vienna.
Profondamente deluso dal trattamento ricevuto, il geniale medico ungherese cadde in una brutta depressione la quale, malcurata, lo condusse fino al ricovero presso un manicomio. Ritenuto pazzo, morì anni dopo, senza aver ricevuto in vita nessun riconoscimento per il suo straordinario lavoro.
Il dottore Semmelweis è considerato un pioniere della medicina, elevato ad esempio di una corretta metodologia scientifica che procede per tentativi ed errori. Non a caso, come si è ricordato, il suo lavoro è stato considerato dai grandi epistemologi del XX secolo come il paradigma della razionalità scientifica.
Oggi l’Università di Budapest prende il suo nome, il suo volto viene raffigurato sui francobolli, su monumenti, ma la sua genialità non venne colta in tempo a causa di quest’inclinazione, che caratterizza in parte il periodo storico che stiamo vivendo, a respingere le prove di una scoperta; una propensione che ci porta ad essere diffidenti nei confronti del progresso.
Questa non è una storia isolata, la scienza annovera tante figure i cui meriti vennero riconosciuti solo dopo la morte degli stessi intuitori di scoperte e cure. Come pensiamo di poter compiere grandi innovazioni con un’impostazione mentale che non riesce a riconoscere in toto i meriti evidenti della scienza?
Lo scienziato non lavora solo per il presente, ma prevalentemente per il futuro.
Elena Rosolia