di Francesco Quadarella

Spesso oggi si tende a pensare come la filosofia sia del tutto inutile. Sono tempi in cui la scienza rappresenta il metro di paragone di ogni altra disciplina e tutto il resto sembra essere semplicemente secondario e di minor valore: il vero sapere è quello scientifico, e il resto? Semplice opinione. La filosofia non appare di alcuna rilevanza, se non nell’ambito politico e morale, l’unico in cui sembra dimostrare una diretta utilità. È forse questo un motivo valido per troncare alla radice la speculazione filosofica in merito a questioni scientifiche?

Mostrerò perché la domanda, così posta, non ha alcun senso, cercando di criticare una visione popolare che finisce per svalutare la filosofia in favore della scienza, ma anche una tendenza contraria, la quale colloca la filosofia al di sopra di qualsiasi sapere tecnico-scientifico in nome di una conoscenza di una qualche superiore natura.

Quando ci si occupa di filosofia si è abituati a domande che potrebbero apparire senza una risposta verificabile (tramite esperienze) come quelle che la scienza fornisce. E le risposte che vengono date — di solito di meno delle domande — sembrano essere relegate alla dimensione del verosimile. D’altronde, chi potrebbe mai verificare che «l’essere è, e non può non essere; il non essere non è, e non può essere»?. Questa che sembra un’ovvietà (e che magari per certi aspetti potrebbe anche esserlo) è un cardine della filosofia occidentale, senza il quale pensatori come Platone, Aristotele, fino ad arrivare ai filosofi del Novecento come Heidegger, non avrebbero potuto esprimere la loro visione del mondo. Questo principio che riguarda l’esistenza, non solo umana ma di tutto ciò che è, di ciò che chiamiamo realtà, ci pone di fronte alla questione fondamentale: da dove nasce la filosofia? Perché l’uomo si pone certe domande? Perché ha deciso di complicarsi la vita (direbbe qualcun altro)?

Inizialmente, già a partire dalla civiltà greca, filosofia e scienza non si distinguevano, erano fuse in un unico corpo (se non altro il termine “scienziato” fu coniato solamente nel 1833, prima di allora gli scienziati erano chiamati “filosofi della natura”). Questo però, non è un buon motivo per promuovere, nel mondo in cui viviamo, una superficiale unificazione tra i due tipi di conoscenza: la scienza non avrebbe potuto progredire senza la differenziazione rispetto alla filosofia e agli altri saperi — in quanto disciplina di natura diversa (non superiore, né inferiore) — ed una specializzazione interna che le ha fatto assumere l’organizzazione nota tutt’oggi: una divisione in diverse discipline, a loro volta frammentate in diversi, specifici settori, in una struttura che potremmo chiamare “granulare”. Questo comporta molti vantaggi, ma anche alcuni svantaggi emersi negli anni sui quali non mi dilungherò.

  Rimane, però, aperta la domanda fondamentale: «Che ruolo ha la filosofia nella scienza?». La risposta facile sarebbe «Nessuno». L’altra è un po’ meno superficiale ma più difficile da analizzare. Ci occuperemo, naturalmente, di quest’ultima (ricordandoci come i filosofi sentano forte la necessità di “complicarsi” la vita). Affronteremo il quesito in modo indiretto, cercando di rispondere ad una seconda questione: Cos’è la filosofia? Cosa vuol dire fare filosofia?

Questa domanda, ovviamente molto vasta, e forse di più difficile risposta rispetto alla prima — il fil rouge del nostro discorso — potrebbe portarci molto lontano. Si proverà a rispondere in modo conciso, seppur il più possibile accurato, cercando di rifarsi al problema da cui nasce la nostra riflessione sul ruolo della filosofia in relazione alla scienza.

Feci un corso di filosofia esistenzialista all’università di New York. All’esame mi diedero dieci quesiti e non seppi rispondere neanche a uno… e consegnai in bianco. Presi centodieci.

(Stardust Memories, Woody Allen, 1980)

In realtà, Woody Allen aveva già le risposte davanti a sé. Ogni domanda proviene da una particolare visione del mondo, proprio per il modo in cui essa è formulata. Se ci poniamo certe domande è perché vogliamo determinate risposte. Al cambiare della domanda potrebbe essere possibile ottenere le risposte diverse che cercavamo. Ogni interrogativo che poniamo ci fa capire in che modo pensiamo, come vediamo il mondo, in che rapporto siamo con la natura. Ma come si può dare una visione del mondo entro cui porre questioni? Beh, questo è proprio il ruolo che spetta alla filosofia.

La medesima non può occuparsi di scienza: sarebbe assurdo immaginare un filosofo dire ad uno scienziato quali procedure sperimentali effettuare, quali calcoli svolgere. La filosofia non può dire come (in ogni aspetto tecnico) unificare due teorie che si trovano in conflitto tra loro. Non è questo il suo ruolo, e se provasse a fare ciò che non rientra nelle sue possibilità, cadrebbe nel ridicolo e verrebbe, a buon diritto, derisa dagli scienziati. Se la filosofia strutturasse in modo diverso i quesiti da rivolgere alla natura, vedendo questa in un altro modo, cercando di vedere le cose sotto un nuovo orizzonte di senso, dando una nuova forma al mondo con cui ci confrontiamo e che indaghiamo, allora potremmo cogliere il vero ruolo del pensiero filosofico rispetto al sapere scientifico. Come vedremo, un tale rapporto non consiste in una subordinazione. Piuttosto, tra i due tipi di conoscenza, ne intercorre uno di coordinazione.

Proprio perché la filosofia rappresenta il contesto, l’orizzonte di senso che dà forma ad ogni sapere scientifico, essa viene “prima” della scienza, è la visione del mondo in cui rientra ogni teoria scientifica che prova a rispondere alle domande che vengono poste alla natura cercando di ottenere le risposte. Il “venire prima” non implica in alcun modo che la filosofia sia più importante della scienza, non è una precedenza secondo un ordine di valore ma semplicemente di tipo “logico”. È necessario, però, comprendere in che modo le due possano lavorare in quel rapporto di coordinazione. Questo consiste nell’elaborazione di una nuova forma entro cui la scienza può interrogare la natura, portando così a nuovi risultati. Questi ultimi creeranno nuovi “problemi”, stimolando un’ulteriore ricerca filosofica e sfociando in un nuovo orizzonte di senso entro cui si collocheranno altrettanto nuove teorie della scienza, dando nuove risposte alle nuove domande. I due saperi interagiscono, quindi, in un fecondo circolo che permetterà di formulare nuove ipotesi ed effettuare nuove scoperte.

È in questo reciproco scambio che si evidenzia la più feconda collaborazione tra i due ambiti del sapere. Solamente in questa sintesi superiore si può cogliere il vero significato di entrambe. È grazie al ruolo della filosofia al di fuori della scienza che si ha un movimento ciclico dall’interno (dai risultati della scienza in un determinato orizzonte di senso) verso l’esterno (la filosofia che dispiega l’orizzonte di senso entro cui la scienza elabora nuove teorie) e viceversa.

Abbiamo visto, dunque, come la filosofia sia un sapere che non può avere un ruolo interno alla scienza e la domanda iniziale, per come era stata posta non ha alcun senso. Ma è proprio in questo suo essere esterna, nel venire “prima” della scienza, che la filosofia può effettivamente contribuire al sapere scientifico che a sua volta darà alla speculazione filosofica nuova linfa per interrogarsi. Ponendo le domande in una diversa forma, si potrà dare un nuovo indirizzo alla scienza impegnata a trovarne le risposte con teorie ed esperimenti.

Ad oggi, però, come si nota dalla diversa rilevanza (a livello assiologico, ovvero riguardante il valore) che viene attribuita alle due forme di sapere, sembra che le cose non stiano così. Viviamo in un’epoca in cui la scienza e la tecnica troneggiano, dando poco, e a volte nessun valore alla filosofia che non ha, secondo diversi scienziati, motivo di esistere in virtù della “superiorità” del sapere scientifico. Saremo in grado di intenderci a vicenda? Saremo in grado di sviluppare una visione d’insieme? Questo non vuol dire in alcun modo far diventare lo scienziato filosofo ed il filosofo scienziato. Vuol dire vedere in che modo i due possano relazionarsi, come possano occuparsi della stessa cosa, ovvero della natura, seppur in modo diverso. Sapremo stabilire questo fecondo rapporto di coordinazione ciclica, rendendo grandi sia filosofia che scienza?

  1. Parmenide. Frammenti 2-3 D.K. (rielaborazione).
  2. Nell’occasione di una riunione della British Association for the Advancement of Science.
  3. Riguardano soprattutto la comunicazione tra gli scienziati, alla quale si è cercato di far fronte attraverso conferenze e congressi.
  4. La scienza non parte dalle scoperte per formulare nuove teorie. Al momento dell’esperimento lo scienziato ha già in mente qualcosa che vuole verificare con risultati sperimentali. La scienza non va avanti per mezzo dell’induzione empirica, ma per mezzo del verificazionismo: si elabora una teoria (prima della sperimentazione) cercando, quindi, di verificarla con gli esperimenti: non si potrà arrivare alla verità assoluta, ma solamente molto probabile in base al numero di esperimenti che verificano la nostra teoria. Attenzione, basta anche un singolo esperimento discordante dalla teoria per falsificarla.
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